Le sedi in cui la nostra politica si è espressa negli ultimi anni, sono tre. Ma non sono camera, senato e Quirinale come vorrebbero la costituzione e il buonsenso. I nuovi luoghi del dibattito sono un tautogramma in T: Talk show, Twitter e Tribunali.
Il confronto politico ormai si esprime in forme sempre meno lineari e consone al dibattito democratico. La crisi dei partiti che ha trascinato con sé quella delle istituzioni, i fenomeni di corruzione diffusa, la perdita di autorevolezza e di credibilità del personale politico hanno creato modi di comunicazione sempre più trasversali e sbrigativi che, in un gioco che somiglia a quello del gatto che si morde la coda, non si sa più sei siano conseguenze o cause dell'impoverimento delle idee e del linguaggio.
Eccoci però arrivati alla decadenza del talk show televisivo che per lunghi anni ha fatto la parte del leone. La formula, importata dagli Usa, debutta in Italia con "L'ospite delle due" di Luciano Rispoli (1975). A farlo incontrare con la politica ci penserà il "Costanzo show" (1982) in certe puntate speciali.
Nel 1996 è Bruno Vespa con il suo "Porta a porta" (contiene un errore, l'italiano corretto è "a porta a porta") che l'orienta con più decisione verso l'agone politico. Da allora la moltiplicazione non si è più arrestata. Tanti giornalisti e personaggi televisivi sono entrati in scena e si sono misurati col genere da Funari a Ferrara, da Deaglio a Lerner, da Santoro a Floris, da Piroso a Bignardi, da Formigli a Telese, da Porro a Gruber, da Fazio a Giannini, e ancora. E, davvero, ne abbiamo viste di tutti i colori fino al trash (v.) più profondo, resistendo con stoicismo, per anni, a orrori inauditi.
Ma eccoci adesso arrivati al capolinea. Un segno è anche nella povertà creativa dei titoli che, partiti dalla banalità dei primi anni (quello dei titoli di maniera è un capitolo che affronteremo presto), dopo una stagione più vivace era giunta adesso al resoconto cronometrico (in Mezz'ora) o alla china battistiana (ricordate 7 e 40?) che appunto ci ha portato a Otto e mezzo e Diciannove e quaranta, fino alla consultazione acritica del calendario: Dimartedì.
Segno di una regressione che unita allo spararle sempre più grosse, alla proliferazione incontrollata, alla ripetitività, ai travasi, alle concomitanze, alle sovrapposizioni, al fatto che comunque i politici e gli ospiti presenti sono sempre gli stessi (e se non lo sono, sono indistinguibili) ha determinato la decadenza probabilmente definitiva del genere. Se questo fosse vero il futuro del confronto politico in Italia, salvo improbabili rinsavimenti, rimarrebbe affidato alle altre due T. Non c'è da rallegrarsi.